I cani ci parlano ogni giorno con sguardi, gesti e vocalizzi: imparare ad ascoltarli migliora la relazione e il rispetto reciproco in famiglia.
Non servono studi etologici per accorgersi che i cani comunicano costantemente con chi li accudisce. A scriverci, questa volta, è una lettrice che racconta un’esperienza concreta e quotidiana: i suoi due cani, pur con caratteri diversi, si rivolgono a lei con modalità chiare, chiedendole attenzione, risposte, azioni. Lei ascolta, comprende, agisce. Ma chi comanda davvero? E soprattutto: quanti di noi sanno davvero ascoltare un cane?
Il punto di partenza non è una teoria astratta, ma la narrazione autentica di una persona che ha imparato a leggere nel comportamento dei suoi animali messaggi complessi. Chiamate, sguardi, percorsi suggeriti durante le passeggiate, rivalità per un osso: piccole scene che rivelano un linguaggio ricco, fatto di segnali che non tutti notano. Da qui nasce la domanda: i cani ci parlano? E, se sì, noi li stiamo ascoltando davvero?
Comunicazione quotidiana: tra gioco, richieste e strategie
I cani che chiedono con uno sguardo, che si siedono per segnalare una direzione, che “invocano” il proprietario quando serve giustizia (magari perché l’altro cane ha preso il loro premio): tutte queste situazioni non sono rare. Sono, anzi, parte del vivere quotidiano con un cane, ma raramente vengono interpretate per quello che sono: atti comunicativi.
Nell’esempio della lettrice, il maschio si appella all’umano per ricevere aiuto, mentre la femmina si dimostra più intraprendente e competitiva. Si crea così un contesto relazionale che ha dinamiche precise, in cui il cane sceglie di fidarsi dell’umano, non solo come dispensatore di cibo o passeggiate, ma come mediatore sociale.

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C’è però un confine sottile da non superare. Alcune richieste non sono solo segnali, ma veri e propri comandi invertiti: “Aprimi il rubinetto del bidet”, “Facciamo questa strada invece che quell’altra”. E l’umano, spesso, esegue. Questo rovesciamento può sembrare innocuo, ma secondo chi si occupa di educazione cinofila è da evitare, almeno nei cani giovani o non ancora educati del tutto. Se il cane prende sempre l’iniziativa, potrebbe credersi in posizione dominante. E da lì nascono comportamenti complicati da gestire.
C’è una regola utile e semplice: prima di soddisfare una richiesta, dare un comando. “Seduto”, “resta”, “zampa”. Una volta obbedito, si può aprire il rubinetto o cambiare strada. È un modo per mantenere l’equilibrio e ricordare chi guida il branco.
Ma le regole, con il tempo, possono ammorbidirsi. Con un cane adulto, con cui si ha una relazione consolidata e chiara, qualche concessione è naturale. Non serve ribadire ogni giorno il ruolo del capobranco. Come in una famiglia: anche i bambini seguono regole, ma ogni tanto possono essere accontentati, se lo chiedono con garbo.
Segnali umani, risposte canine: un dialogo difficile ma possibile
Il paradosso è che spesso i cani comunicano meglio con noi di quanto noi facciamo con loro. Studiano per mesi, a volte anni, il nostro comportamento. Osservano ogni gesto, ogni inclinazione del volto, ogni movimento delle mani. E provano a imitarci, per farsi capire.
Pensiamo al “sorriso”. Quando un cane lo simula, sta compiendo un’azione innaturale per lui: mostrare i denti, che nella sua specie significa minaccia. Eppure, decide di provare a “sorridere” nel modo che noi, umani, possiamo comprendere. È uno sforzo notevole, spesso goffo, ma sempre sincero. Qualche umano fraintende, magari si spaventa. Ma quel ghigno, a volte storto, è una prova d’amore e intelligenza.
Questi tentativi si scontrano con la nostra scarsa capacità di ascolto non verbale. Non siamo più abituati a decifrare i segnali corporei, né negli animali né nelle persone. Diamo valore solo alla parola, ignorando tutto il resto. E così ci perdiamo una parte fondamentale della comunicazione.
Il cane, allora, prova ad alzare la voce. Abbaia. Ripete. Insiste. In alcuni casi lo fa “in faccia” all’umano, in casa, con insistenza. Non sempre per aggressività: spesso per frustrazione. Perché non essere compresi, dopo aver imparato a comunicare, è esasperante. E la frase che tanti ripetono, “gli manca solo la parola”, è solo parzialmente vera. La parola manca a noi, più che a loro.
Molti cani hanno un vocabolario fatto di gesti, sguardi, versi, posture. E provano persino a usare il nostro. Ma noi, spesso, non siamo all’altezza del loro sforzo.


